Le Guerre del Silenzio

Che cosa accomuna guerra e silenzio? Cosa vuol dire vivere in Corea del Nord? Cosa succede quando le istituzioni falliscono nel loro compito come in Messico o in ex Jugoslavia? Vi presentiamo il nostro capitolo, approfondendo tre delle più importanti guerre contemporanee. Non sappiamo se in questi articoli riusciremo a rispondere a queste domande o a suscitarne di nuove, ma proveremo a darvi un’idea di come, nonostante i corsi e ricorsi della storia, l’uomo continui ad autodistruggersi.

Il clan Anduril del gruppo Ferrara 3 quest’anno si è interrogato su un tema purtroppo, ancora attuale, la guerra e il silenzio che ci gira attorno. Hanno analizzato, incontrato e cercato di capire qualcosa in più partendo anche da conflitti meno recenti. Pubblichiamo qui il loro lavoro.

Le Guerre del Silenzio

Due Facce della Stessa Medaglia

“Cos’è per voi la guerra?”: queste le sono parole con cui Yvette, una ragazza fuggita dal conflitto nella Repubblica Centrafricana, esordisce l’incontro col nostro Clan Anduril. In effetti, cosa colleghiamo alla parola “guerra”? Missili nucleari, proiettili che fendono l’aria, schieramenti che si scontrano urlando, grida di madri disperate e di bambini innocenti. Mai però pensiamo a una guerra come qualcosa di silenzioso, che si sviluppa nella quotidianità senza produrre quel clamore e quell’indignazione che purtroppo meriterebbe.

Proprio sul binomio guerra e silenzio abbiamo deciso di camminare come clan, incentrando il nostro capitolo su questi temi.

Come forse non tutti sanno, il mondo è tutt’ora costellato da molteplici conflitti, al punto che sarebbe stato fuori dalla nostra portata trattarli tutti anche solo brevemente. Perciò abbiamo selezionato tre guerre tra quelle che più ci incuriosivano: le lotte tra cartelli messicani per il monopolio del narcotraffico (e non solo), la feroce dittatura in Corea del Nord e il passato ma non lontano conflitto che ha avuto luogo nell’ex Jugoslavia. Ci siamo dunque divisi in tre pattuglie, ciascuna delle quali ha scelto una delle guerre sopracitate da approfondire, preparando attività per il clan.

In una fase successiva la nostra attenzione si è spostata sul silenzio in quanto tale, partendo dalla nostra realtà e da cosa sia per noi il silenzio, portandolo poi nell’ambito delle tre guerre. Questo ha messo in evidenza non solo i diversi aspetti del silenzio nella vita quotidiana, ma anche come esso si presenti in maniera differente in ciascun conflitto.

Nonostante questi approfondimenti e attività, ci siamo resi conto di come fosse difficile per noi immaginare come sia vivere in prima persona una guerra. Per questo abbiamo arricchito la nostra esperienza attraverso l’incontro con Yyvette, testimone diretta dell’attuale conflitto per le risorse nella Repubblica Centrafricana. Dopo i suoi racconti, ascoltando ma forse non riuscendo a comprendere del tutto ciò che ha passato, quello che ci ha colpito di più è stato come non le siano mai mancati il sorriso e la forza di andare avanti, nonostante le tragiche e inimmaginabili esperienze vissute.

Per far sì che tutto questo non restasse un insieme di vane parole e attività destinate ad andare dimenticate, abbiamo deciso di trasmettere le nostre piccole esperienze attraverso quest’articolo e i tre che seguiranno.

Prima di proseguire coi prossimi articoli è meglio presentarci come si deve: siamo (l’Enogastro) Clan Anduril del gruppo scout Ferrara 3, di recente formazione. Per descriverci in tre parole usiamo la nostra Carta di Clan: siamo “cibo, casino e riflessione”!

Che cosa accomuna Guerra e Silenzio?

Cosa vuol dire vivere in Corea del Nord?

Cosa succede quando le istituzioni falliscono nel loro compito come in Messico e in Ex Jugoslavia?

Vi presentiamo il nostro Capitolo approfondendo tre delle più importanti guerre contemporanee; non sappiamo se in questi articoli riusciremo a rispondere a queste domande o suscitarne di nuove, ma proveremo a darvi un’idea di come, nonostante i corsi e ricorsi della storia, l’uomo continui ad autodistruggersi.

Il caso Nordcoreano

25 giugno 1950, questo è il fatidico giorno di inizio della guerra di Corea che vede su due schieramenti contrapposti Nord Coreani, appoggiati dalla Cina, e Sud Coreani affiancati dagli USA. La causa profonda del conflitto, che “terminerà” solo nel 1953, trova origine nella volontà del dittatore Nord Coreano di riunificare la penisola Coreana sotto un’unica bandiera.

“Terminato”, perché in realtà il conflitto è più attuale che mai, la tensione non coinvolge soltanto le due Coree ma si sta rapidamente estendendo oltreoceano.

Proprio per il fatto che le tensioni non sono limitate alla sola penisola Coreana, abbiamo deciso di approfondire questo tema che, purtroppo, collega indissolubilmente Guerra e Silenzio. La Guerra è forse l’aspetto più noto: quotidianamente siamo bombardati dai media riguardo ai test nucleari e missilistici condotti dai Nord Coreani e dalle conseguenti reazioni delle altre superpotenze; mentre il silenzio è quell’aspetto più nascosto e ignorato.

Ma di quale silenzio stiamo parlando? Non di certo del silenzio mediatico in sé, ma di quello del popolo Coreano, silenzio vissuto ogni giorno da coloro che sono oppressi, censurati da uno stato che fornisce un’univoca e filtrata verità. Tale tematica si evince in maniera ironica ed efficace dalla nota pellicola Americana “The Interview”. È difficile immaginare come i registi, Evan Goldberg e Seth Rogen, nati come attori comici, possano aver suscitato un incidente diplomatico come quello accaduto il 25 Dicembre 2014, al momento dell’uscita nelle sale cinematografiche. L’accaduto non ha fatto altro che fomentare le frizioni già presenti tra Stati Uniti e Corea del Nord, la quale non solo ha denunciato i due registi, ma ha bandito pubblicamente il film, per la cui possessione e visione, si può essere perseguiti penalmente. La pellicola ritrae una caricatura del dittatore Kim Jong Un, e del retroscena politico e culturale dello Stato.

La visione di questo lungometraggio ci ha permesso di riflettere su quanto la rappresentazione apparentemente irrealistica, possa invece avvicinarsi alla realtà dei fatti testimoniati da diversi reporter. I tentativi di pochi di oscurare i fatti, nascondere lo sfruttamento e censurare scomode verità sono sempre più frequenti e ci riguardano ogni giorno in maniera crescente. La volontà e il coraggio di pochissimi, che rischiano la propria vita per portare a galla tutto ciò, consentono a coloro che desiderano informarsi e andare oltre ai semplici titoli del telegiornale, di farsi un’idea di cosa si cela realmente dietro al caso nordcoreano.

Il Messico del Narcotraffico

Siamo abituati a pensare al Messico come meta delle tanto ambite vacanze, spiaggia bianca, mare cristallino e colorati sombreri. Ma è davvero così? Cosa si cela dietro questo paesaggio apparentemente paradisiaco? È ciò che ci siamo chiesti e che proveremo a raccontarvi.

Il nostro viaggio alla scoperta del vero volto del Messico è partito attraverso la visione di un servizio de “Le Iene”, La mattanza dei Narcos, andato in onda il 12 febbraio 2017. Il vero Messico è ogni giorno marchiato dal sangue, di poveri cittadini appartenenti all’uno o all’altro cartello della droga, che manipolano lo Stato e lottano fra loro per il dominare sugli altri. Sette sono i cartelli principali, che dividono il paese in zone d’influenza, caratterizzati ognuno da un’impronta religiosa piuttosto che da traffico di armi, droga o addirittura uomini, ma tutti accomunati da uccisioni ignobili e disumane, quali impiccagioni, decapitazioni e squartamenti: morti lente e dolorose, spesso accompagnate da messaggi intimidatori per le famiglie.

Secondo noi è inammissibile rimanere indifferenti di fronte a tali violenze alla luce del giorno, ma per molti messicani ormai è la “normalità”, una quotidianità dettata dall’istinto di sopravvivenza che spesso si tramuta addirittura in speculazione: fotografi a caccia di “corpi da prima pagina” o becchini abili nella ricostruzione di volti sfigurati.

Chi decide di rompere questo silenzio e far sentire la propria voce è consapevole che tale scelta lo metterà in pericolo per il resto della sua vita. Questo è ciò che è successo a Anabel Hernàndez, giornalista investigativa messicana, che dopo aver pubblicato La terra dei Narcos. Inchiesta sui signori della droga ha subito aggressioni e intimidazioni. «La situazione in Messico – afferma – si fa ogni giorno più pericolosa, non solo per i giornalisti. In molte aree del paese il governo e i cartelli della droga collaborano per imporre il silenzio, ma anche la società ha la stessa responsabilità».

Il Messico non è quindi soltanto meta di vacanze, ma paese in cui i cittadini sono come burattini in mano ai potenti cartelli e alle istituzioni corrotte, che mistificano la realtà.

«Se non si conosce la verità non si può decidere liberamente».

Negli occhi di tutti, sulla bocca di pochi

“Era l’11 luglio 1995. Me lo ricordo benissimo. Arrivò la notizia, secca, che migliaia e migliaia di persone erano in marcia da Srebrenica verso il campo profughi dell’Onu di Tuzla (Zona protetta dell’ONU, come Sarajevo, Srebrenica). Abbiamo deciso di andare subito a vedere cosa stesse succedendo.” (Emma Bonino).

S embra paradossale, ma l’eccidio più drammatico della recente storia europea, dopo la seconda guerra mondiale, è avvenuto ai confini dell’Unione Europea, e, come se non bastasse, nei giorni del genocidio a Srebrenica erano presenti 429 caschi blu olandesi.

Silenzio.

Srebrenica era una “safe zone “dell’Onu, una enclave in territorio serbo quando ancora si credeva che la sua bandiera non potesse essere macchiata di sangue.

Una guerra vicina a noi, in spazio e tempo: a 150 Km dall’Italia, 25 anni fa.

Alla morte di Tito (4 maggio 1980) l’eredità della penisola balcanica consiste in una nazione oggi divenuta 7 stati diversi (Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Repubblica di Macedonia, Montenegro, Serbia, Slovenia, Kosovo), in cui convivevano tre diverse etnie e altrettante religioni.Abitavano nello stesso condominio bosniaci, serbi e croati; andavano allo stesso mercato musulmani, ortodossi e cattolici.

Una realtà così eterogenea non poteva di certo durare senza una figura carismatica che la tenesse unita. I dissidi interni fino a quel momento mascherati dalla dittatura di Tito riemergono ancora più accentuati.Gli stati agli estremi raggiungono la dipendenza in modo più o meno pacifico, il cuore della Jugoslavia è scenario di lunghi e sanguinosi conflitti.Tre anni prima di Srebrenica, nel 1992, inizia l’assedio di Sarajevo. Militari serbi, pazi snjper, si appostano sulle colline che circondano la città e nei piani alti dei palazzi delle vie principali, pronti a sparare a vista indistintamente. È stato l’assedio più lungo della storia contemporanea, per quasi quattro anni più di 300 mila persone sono vissute sotto assedio. L’unico modo per raggiungere l’aeroporto, e quindi il mondo esterno, era utilizzare un tunnel sotterraneo costruito durante gli anni della guerra lungo 800 m.

Ci siamo chiesti come sia la situazione oggi, che vuoto ha lasciato quella generazione perduta?  Che cosa ne pensano i giovani oggi?

Sembra che i giovani di Sarajevo vivano le conseguenze della guerra in un clima ancora teso, sotto al peso della povertà, della corruzione, della disparità, dell’instabilità economica e della disoccupazione. Guardano con incertezza al loro futuro e molti si trasferiscono all’estero, sono influenzati dalle loro famiglie che spesso li indirizzano verso il nazionalismo piuttosto che all’apertura verso le altre etnie.

Forse non è cambiato niente.

Non ancora; ma è nei giovani che bisogna riporre le speranze, perché sappiano reinventare il loro paese e andare oltre al passato in cui questo angolo di Europa si è incagliato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *